I più o meno provati flirt del presidente turco Erdogan con l’Islam radicale in Siria gli si stanno ritorcendo contro in queste ultime settimane.
L’attentatore suicida che ha colpito il cuore turistico di Istanbul veniva dalla Siria, e questo significa un duro contraccolpo per le rischiose avventure estere di Erdogan: ora le autorità turche non possono più chiudere gli occhi sulle varie attività islamiste e radicali – contrabbando e commercio di armi, passaggio di foreign fighetrs – sul confine meridionale.
Da quando è diventato presidente, Erdogan ha abbandonato il tradizionale pragmatismo laico della Turchia a favore di un programma islamista che ha portato ad una politica di pesante ingerenza verso la vicina Siria (ed il governo islamista di Tripoli in Libia).
Una politica di appoggio diretta ai militanti che combattono Bashar al-Assad, e che a sua volta ha portato alla comparsa di jihadisti radicali sul suolo turco, gli stessi jihadisti che presumibilmente hanno mandato l’attentatore suicida ad uccidere i turisti a Istanbul.
Il supporto di Erdogan per i Fratelli Musulmani, il perseguimento di politiche settarie, le strette sulle libertà di parola e di manifestare e sopratutto i contatti pericolosi con l’Islam radicale, hanno aumentato l’instabilità regionale, messo in pericolo gli interessi degli Stati Uniti, danneggiato la sicurezza della Turchia e le prospettive economiche (la maggior parte delle vittime di martedì erano turisti tedeschi).
Eppure Erdogan resta determinato a proseguire la sua pericolosa agenda regionale: le azioni del presidente turco in Siria si fondano su una interpretazione turca dei principi della Fratellanza Musulmana.
In Siria, Erdogan negli anni scorsi ha spinto per espandere l’influenza sunnita della Fratellanza a scapito degli alawiti (shiiti) di Assad. Quando quella campagna è fallita, ha raddoppiato i suoi sforzi per frenare il potere politico dei curdi, e coinvolgere gli elementi islamici sunniti più estremisti.
Sotto la copertura di un programma di riforme, ha consolidato il potere nei primi anni 2000 con l’abolizione dei tribunali di sicurezza dello Stato, riducendo lo status dei militari – da sempre garanti della laicità della Turchia – e nel contempo aumentando l’influenza della religione islamica nella vita dello stato.
A livello regionale i suoi passi falsi in Siria e le strette nazionali sulla democrazia stanno costando oggi alla Turchia enormi costi in vite umane e rischiano di far precipitare nell’instabilità un paese che era diventato un modello di laicità, democrazia e stabilità per tutto il medio oriente.