Fra i paesi che non hanno gradito l’intervento russo in Siria, primi fra tutti la Turchia e gli Usa, c’è anche un “piccolo” paese mediterraneo che – in proporzione – ha fornito un gran numero di foreign fighters al cosidetto Stato Islamico: la Tunisia.
Ora che le forze siriane fedeli ad Assad stanno lanciando controffensive terrestri – appoggiate da truppe iraniane, Hezbollah libanesi, “volontari” afghani e truppe shiite irakene – sono già diverse centinaia i jihadisti fedeli al Califfo che stanno ritornando nei loro paesi d’origine (o ci stanno pensando).
“Gli attacchi della Russia in Siria potrebbero indurre i foreign fighters europei a lasciare il Medio Oriente e tornare in massa in Europa”, questo è l’allarme lanciato dal coordinatore del controterrorismo Ue, Gilles de Kerchove, nel corso di un convegno a Bruxelles.
“Ci sono più di 5mila europei che stanno combattendo in Siria e in Iraq. Temo un ritorno di massa. Con l’interventi e gli attacchi della Russia potremmo assistere a un ritorno di massa prima del previsto”, ha spiegato”.
Secondo alcuni analisti, i tunisini che combattono nelle fila dell’Isis sarebbero fra i 3500 e i 5000, una cifra “enorme” per un paese “fragile”, che solo da poco tempo sembra aver trovato una propria via democratica ma che ha già dovuto affrontare attentati e stragi (dal Museo del Bardo fino agli attacchi di Sousse).
E per chi non dovesse tornare “a casa”, in Europa o in tunisia, esiste un altro paese nel quale lo Stato Islamico è presente e combatte: la Libia.
E così l’intervento russo, che mira a sostenere il traballante potere di Assad e a combattere l’estremismo islamico, per assurdo rischia di essere un soffio sulla polvere, “disperdendo” migliaia di combattenti jihadisti in nord Africa ed in Europa.
Con le conseguenze che tutti possiamo immaginare.