Il proverbio libico “Ya jày min gheyr ‘azùma ya ga’ed min dùn fràsh”, ossia “Chi arriva senza essere invitato si ritroverà senza letto” può essere associato all’accordo di unità nazionale che verrà firmato il 16 dicembre, e che potrà rimettere sul mercato energetico mondiale alcune delle più importanti risorse energetiche dell’Africa, il 38% del petrolio del continente e l’11% dei consumi europei di carburante.
Tanti i paesi che ronzano attorno alla cassaforte energetica libica e che hanno partecipato alla conferenza di Roma: oltre ai delegati dei due governi libici rivali, al padrone di casa e ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni, al segretario di Stato Usa Kerry ed al mediatore dell’ONU per la crisi libica, Martin Kobler, hanno partecipato anche i rappresentanti di Russia, Cina, Francia, Regno Unito, Spagna e Unione Europea, insieme anche ai delegati di diversi paesi africani e del Medio Oriente che hanno interessi in Libia, cioè Egitto, Algeria, Ciad, Emirati Arabi Uniti, Marocco, Niger, Qatar, Turchia e Tunisia.
Oggi a estrarre greggio e gas è soltanto l’Eni, ma è difficile che le potenze occidentali e gli Stati del Golfo lascino alla sola Italia il controllo di questa cassaforte dell’energia: per mantenere le posizioni e recuperare le perdite accusate con la caduta di Gheddafi nel 2011 l’Italia dovrà mettere gli anfibi a terra, anche soltanto con una missione civile e di addestramento truppe.
Questa è in prospettiva la partita libica che con l’accordo possibile tra i due governi diventa subito scottante: un eventuale governo di unità nazionale può chiedere subito l’intervento dell’EunavFor, con quartier generale a Roma, che ha come obiettivo la lotta agli scafisti ma che non esclude azioni militari sulla costa.
Flotte di droni, ma anche caccia francesi e americani, già da tempo volano lungo le coste libiche, il che che fa presagire qualcosa di più di semplici missioni di routine.
Ma gli attori che giocano in Libia sono molti e nessuno intende fare la semplice comparsa: alcune fazioni puntano a un intervento esterno contro il Califfato, altre sono contrarie perché può rafforzare i jihadisti e spingere i giovani verso l’estremismo.
E gli stati arabi e musulmani?
Come sempre ognuno di loro gioca ai propri interessi e sponsorizza la propria fazione favorita: l’Egitto agisce in Cirenaica con il generale Khalifa Haftar, il Qatar foraggia con i petrodollari gli islamisti più radicali di Tripoli, gli Emirati si sono “comprati” il mediatore dell’Onu Bernardino Leòn per appoggiare Tobruk; la Turchia – dalla Siria – ha rispedito a casa i jihadisti libici che – pare – si sono alleati con gli ex gheddafiani, così come successo con l’accordo tra il Califfato e gli ufficiali baathisti iracheni.