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Nigeria, Camerun, Niger, Ciad: la minaccia di Boko Haram si estende

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Scontri durati 5 ore, quasi 150 jihadisti uccisi: questi numeri rendono bene l’idea degli intensi combattimenti che si sono svolti il 12 gennaio scorso tra l’esercito nigeriano e gli islamisti di Boko Haram nei pressi di una base militare a Kolofata, estremo nord del Camerun.
L’attacco è iniziato all’alba, verso le 6:30 (ora di Yaoundé). Approfittando della foschia, gli assalitori hanno sorpreso le forze di difesa camerunesi “in prossimità del campo militare e in altri punti nevralgici della zona”, ha precisato il ministro della Comunicazione e portavoce del governo, Issa Tchiroma Bakary.
Dopo 5 ore di combattimento, i jihadisti sono stati infine respinti verso il confine con la Nigeria. Non è stato possibile stabilire nessun bilancio da fonti indipendenti. Il rapporto del governo del Camerun riporta “143 terroristi della setta criminale Boko Haram uccisi” e un proprio soldato morto.
Questo è il primo grande attacco sferrato dagli islamisti contro Kolofata da quando il Battaglione di Intervento Rapido, unità d’élite dell’esercito camerunese, è stato qui dispiegato.
BoKo Haram continua espandersi nel nord-est della Nigeria, ma è molto attivo anche lungo le zone di confine con il Camerun, il Ciad e il Niger, suscitando la preoccupazione delle autorità e delle popolazioni vicine.
All’inizio di ottobre, il gruppo islamista ha preso Malam Fatori e Damasak, due località nel nord-est della Nigeria al confine col Niger. “Si scorge la bandiera nera dei jihadisti sventolare aldilà della frontiera”, lamentava ai primi di gennaio Hankaraou Biri Kassoum, sindaco di Diffa in Niger.
“Quasi tutti i villaggi e le grandi città della Nigeria vicine al Niger sono sotto il controllo di Boko Haram, viviamo nel timore di eventuali attacchi islamisti”, ha proseguito. Anche il Ciad vede il gruppo islamista avvicinarsi pericolosamente al suo territorio.
Ad una settimana dall’assalto a Baga, Boko Haram controlla sempre questo snodo commerciale nel nord-est della Nigeria. Gli insorti “hanno alzato delle barricate nei punti strategici della città. Ci sono corpi ovunque e l’odore dei cadaveri in decomposizione appesta la città”, ha riportato lunedì Borye Kime, pescatore di Baga.
I massacri sono durati 3 giorni. Il gruppo islamista ha lanciato un primo attacco su Baga, sulle rive del lago Ciad, nel nord dello Stato di Borno, il 3 gennaio, per tornare diversi giorni dopo e radere completamente al suolo la città e una quindicina di villaggi nei dintorni.
I responsabili locali hanno riferito di un gran numero di morti, ma non è stato possibile confermare alcun bilancio. Secondo i soccorsi, circa 20.000 persone sono fuggite verso Maiduguri, capitale dello Stato di Borno, circa 200 km a sud, o verso i Paesi vicini.
Source: Arabpress
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Dutch kurdish hairdresser joins Peshmerga in fight against terror

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Shilan Hamid has returned to Kurdistan to defend her homeland against IS ‘animals’
A 26-year old Dutch Kurdish hairdresser, Shilan Hamid from the city of Almere, has joined the Peshmerga in the fight against terrorism.
She has swapped her high heals and skirts for a military uniform to fight the Islamic State, reports the Dutch magazine Marie Claire.
The Kurdish female fighter has found fame in the Netherlands, after a TV interview.
She said she joined the Peshmerga forces after she heard TV reports about human rights violations committed against Kurdish Yezidi women, who have been enslaved and raped by IS fighters.
“I had never carried any weapon in my life. My youth in the Netherlands was without worries. I am thankful for this. But I have dreamt for a longer time about Kurdistan,” she told Marie Claire.
On the internet she looked to pictures of female fighters. “They love their country so much, that they want to fight for it. I also want to contribute,” she said.
“I wouldn’t join the army for a piece of land, or a dispute between two leaders. But the battle against IS is no normal war. It would break my heart if I killed somebody whom I could like. But the members of IS are animals, I have no pity for them.”
The 26-year old spoke on the Dutch TV-show Jinek via Skype on 14th January, and has received much support from fellow Dutch Kurdish females who would like to support the Peshmerga forces in Kurdistan.
Source: BasNews
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IS militants force children to donate blood in Syria

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According to stranded residents in the Syrian province of Raqqa, children in the area are being forced to donate blood by Islamic State (IS) militants who have taken over the province.

IS militants often threaten residents with death sentences in the mosques where around 2,20,000 people once worshipped freely.

Abu Ibrahim RaqqAwi, the pseudonym of a lifelong Raqqa resident who in April 2014, founded the activist campaign “Raqqa is Being Slaughtered Silently”, said that people have now become accustomed to death threats and are no longer afraid of it.

He also said that there were no schools or university and the prices were extremely high with little water or electricity.

Prices of common good are also high in the province while drinking, smoking and Middle Eastern tradition of hookah is banned in Raqqa.

Source: DNA

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Al Qaeda claims to kill several Houthis in central Yemen

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Ansar al-Sharia group said on Twitter that its fighters had detonated a bomb at a Houthi patrol in Radaa on Friday, leaving several militants dead.

An al-Qaeda-linked group on Sunday claimed to have killed a number of Shiite Houthi militants in Yemen’s central Radaa city.

Ansar al-Sharia group said on Twitter that its fighters had detonated a bomb at a Houthi patrol in Radaa on Friday, leaving several militants dead.

There has been no comment from the Houthi group.

Yemen has recently appeared to be on the verge of civil war, as the Houthis seek to expand their control beyond capital Sanaa, which they took over in late September.

The Houthis’ growing influence in the country has pitted it against both Al-Qaeda – said to be active in politically fractious Yemen – and allied Sunni tribes.

Recent fighting between the warring camps in the country’s central and western regions has left dozens dead.

Source:  aa.com.tr

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La Jihad di seconda generazione e la visione del mondo teocratico

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Uno degli errori principali fatti in Europa e più in generale nei Paesi occidentali è stato quello di sottovalutare i rischi derivanti da quella che noi abbiamo battezzato “la Jihad di seconda generazione”, cioè di quella Jihad che non arriva dai paesi musulmani, anche se da loro finanziata, ma che proviene direttamente dall’interno dell’Europa ed è implementata da persone nate e cresciute in Europa, le cosiddette seconde (o terze) generazioni.
Dal continuo monitoraggio dei forum jihadisti emerge chiaro un fatto, cioè che i più accaniti sostenitori della Jihad e del terrorismo islamico sono persone residenti in Europa, molto spesso nati e cresciuti in Europa, gente che ha studiato nelle nostre scuole, che lavora nelle nostre aziende e che probabilmente vive una vita molto simile alla nostra.

Integrazione mancata o semplicemente una diversa visione?

In Europa è in corso un dibattito molto acceso sul fatto che le seconde o terze generazioni di immigrati musulmani abbiano scelto la via dell’estremismo e, sempre più spesso, quella dell’appoggio alla Jihad perché “poco integrati” attribuendo questa colpa al “sistema occidentale”.
Ieri persino Obama si è lanciato in una accusa del genere. Mai accusa è stata più falsa e strumentale.
La verità è il diverso approccio alla politica e alla vita stessa che hanno i musulmani rispetto all’occidente. Per un musulmano la legge è il Corano e il sogno di ogni buon musulmano è uno Stato teocratico basato sulla legge del Sacro Libro. Politica e religione quindi si sovrappongono diventando una unica cosa esattamente come avviene in tutti i Paesi musulmani.
Per un occidentale invece la laicità è alla base di ogni legge o regolamento. La differenza tra le due vedute è enorme e la cosiddetta “integrazione” non c’entra proprio nulla. La differenza rispetto a qualche decennio fa la fanno i numeri.
Mentre gli immigrati di prima generazione, quelli che arrivarono in Europa dai paesi musulmani a partire dai primi anni 70, erano una esigua minoranza e tendevano a mantenere un profilo molto basso o a preferire semplicemente il lavoro e una vita dignitosa, l’aumento della popolazione musulmana visto negli ultimi anni ha portato quella minoranza ad avanzare pretese sempre più pressanti fino ad arrivare a ottenere in alcuni Stati, come in Gran Bretagna, un sistema giuridico parallelo a quello ufficiale e che prevede l’applicazione della Sharia, un obrobrio in termini di Diritto.
E dove non si è arrivati al punto raggiunto dalla Gran Bretagna si è comunque concesso moltissimo alle pretese musulmane, il tutto nel nome della integrazione.
Queste prime importanti vittorie della teocrazia sulla laicità non hanno affatto favorito l’integrazione come si credeva e si sperava, anzi, hanno allontanato ancora di più i due modi di vivere. E questa assurdità si evidenzia ancora di più negli ultimi anni con le nuove generazioni di musulmani che pur vivendo all’apparenza una vita “occidentale” nella realtà riconoscono una sola legge, quella del Corano, e per quella legge lottano ritenendola non solo una linea politica da perseguire, ma un vero e proprio dovere.

Il sostegno alla Jihad come unico sbocco

Da questa visione politico-teocratica ne scaturisce la ferma volontà, anche e soprattutto per le nuove generazioni, di lottare per imporre le proprie ideologie che solo all’apparenza sono politiche ma che in realtà sono una unica cosa con la religione.
Una delle cose che abbiamo notato nei moltissimi commenti dei frequentatori europei dei forum Jihadisti è il malcelato disprezzo nei confronti dei loro genitori per “essersi piegati” alle regole occidentali senza combattere, per aver accettato quelle regole basate sulla laicità che per un buon musulmano sono inaccettabili.
E’ questo il punto che in occidente si deve temere di più, la visione totalmente teocratica che hanno i musulmani in merito alla applicazione delle leggi. Per loro il Corano viene prima di qualsiasi legge, lo potete chiedere a qualsiasi “musulmano moderato” per rendervene conto. E’ vero ci sarà anche chi tra i musulmani sostiene il contrario, ma ogni buon musulmano ha il dovere di cercare di imporre la legge del Corano e difficilmente ammetterà apertamente che le leggi di qualsiasi Stato vengano prima del Corano.
E’ questa la differenza più evidente tra un laico occidentale o tra una qualsiasi altra religione rispetto a quella musulmana. Ma per arrivare a fare questo in Europa l’unico modo è sostenere il Jihad, che non necessariamente comporta azioni violente, ma che spesso è fatto di semplice sostegno alla “causa”. Quindi è anche scorretto affermare che “tutti i musulmani sono terroristi” perché non è vero. E’ vero però che ogni musulmano ha il dovere di combattere la sua Jihad e lo può fare anche senza uccidere gli infedeli ma attraverso la politica o azioni di sostegno (diretto o indiretto) alla Jihad.

Lo scontro di civiltà

Ci troviamo quindi di fronte a uno scontro di civiltà come in molti affermano? Solo in parte, in realtà ci troviamo di fronte allo scontro di due ideologie completamente diverse: quella laica occidentale che pone la legge e il Diritto sopra a tutto, e quella teocratica musulmana che pone il Corano sopra qualsiasi legge.
 La Jihad (testualmente “esercitare il massimo sforzo”) è parte della “politica musulmana” che punta alla conversione di tutti gli infedeli e alla imposizione del Corano.

La Jihad violenta

Ed è qui che arriviamo al punto. Mentre le vecchie generazioni di musulmani si limitavano al “massimo sforzo” per mantenere intatte le loro origini senza però cercare di forzare la mano, alle nuove generazioni di musulmani questo non basta più e dove non ottengono quello che vogliono con le buone, cercano di ottenerlo con le cattive, con il “massimo sforzo”, cioè con la Jihad violenta.
E’ questo il rischio più grande che corre l’Europa e l’occidente, quello che molti musulmani di seconda o terza generazione si “sentano il dovere” di combattere come possono la loro Jihad.
E la mancata integrazione non c’entra nulla, smettiamola con questa assurda scusa. Il discorso sta solo nella differente visione del mondo, laico per noi, teocratico per loro.
Source:  rightsreporter
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Seven Christian Churches Up in Flames Amid Niger Charlie Hebdo Violence

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At least seven churches were burned down in Niger’s capital of Niamey on Saturday, January 17, amid anti-Charlie Hebdo protests.

Rioters have set fire to at least seven churches in Niger’s capital of Niamey on Saturday during an ongoing turmoil, sparked by Charlie Hebdo’s publication of a cartoon mocking the Prophet Mohammad.

“The sites, which were primarily evangelical churches, were torched on the left bank of Niamey, several of them housed in small villas that bore no distinctive religious signs,” Agence France Presse reported.

The right bank of Niamey with its numerous churches has also been targeted by rioters.

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Terrorists are now more blood-thirsty and indiscriminate

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When one of the men who directed the US embassy bombing in Nairobi was being interrogated by American detectives in the second week of August 1998, he issued this outburst after being asked why Al-Qaeda had chosen to attack Kenya.

“We have a plan to attack the US but we’re not ready yet,” said Mohammed al-‘Owhali, a native of Saudi Arabia who was caught in Eastleigh days after the blast. Residents had reported seeing a stranger with bloody wounds in the area.
He added: “We need to hit you in a couple of places so you won’t see what is going on inside. The big attack is coming. There is nothing you can do to stop it.”
Al-‘Owhali was, of course, referring to the September 11 attacks in New York, which occurred three years after the Kenya bombing.
His response says much about the difference between the early Al-Qaeda militants and the new wave of killers.
Osama bin Laden’s terror atrocities were noted for their complexity. They were typically planned for at least five years, usually cost a lot of money, were nearly always launched simultaneously from different locations and were often quite sophisticated.
The new wave is quite different— and arguably scarier than Al-Qaeda’s older brand of mass attacks. The killings in Paris in the last fortnight and Boko Haram’s continuing atrocities in Nigeria highlight a trend where terrorist attacks have gone noticeably low-tech —  meaning the killings are far easier and cheaper to carry out.
HIGH CALIBRE GUNS
The killers in France needed little more than high calibre guns and a car to arrive at the site where they planned to commit mass murder.
They still achieved their aim and shocked most of Europe by attacking a city mythologised as a dream holiday destination and a “city of love”.
The simplicity of the plot pales in comparison with the more complex operations Al-Qaeda was previously known for such as the efforts of the branch in Yemen to manufacture tiny bombs, which could be hidden in shoes and evade airport surveillance to bring down American-bound planes. Or the Nairobi and Dar es Salaam bombings, which were planned for over five years.
Wadih el-Hage, Osama’s Lebanese-American lieutenant in charge of the US embassy bombing plan arrived in Kenya as far back as 1993 and spent five years coordinating the logistics of the devastating August 7, 1998 Nairobi blast, which took 213 lives and injured 4,500 people.
There is another aspect in which the new wave of jihadists differs from bin Laden’s attacks. It may seem strange to say this of a man blamed for launching the modern era of mass casualty suicide bombings but bin Laden was much less blood thirsty than the new generation of jihadis.
The suspects arrested in connection with the Nairobi bombing, whose story is summed up in American journalist Lawrence Wright’s award-winning book, The Looming Tower, explained that bin Laden had asked them to make sure they detonated the bomb at the basement of the US embassy and not outside the building, to maximise American casualties and minimise Kenyan ones.
Any death of innocents is terrible, of course, but this is a distinction the mass killers of today or Boko Haram are unlikely to strive for. In the event, in Nairobi, the guards bravely resisted opening the security barrier— meaning the bomb went off outside and killed far more Kenyans than Americans and remains the worst single terror atrocity the region has known.
In his last days, bin Laden strenuously criticised younger militants such as the man who set the stage for the emergence of the Islamic State— the Iraqi al-Qaeda leader Abu Musab al-Zarqawi— for his indiscriminate murder of Shiites and moderate Sunnis.
In one letter, Al-Qaeda spokesman Adam Yadiye Gadahn warned that bin Laden would dissociate himself from the “ignorant and ungodly criminality” of some of the groups that claimed affiliation with Al-Qaeda. Somali’s Al-Shabaab was one such group.
The new generation of jihadis are, of course, much more blood thirsty. The Islamic State militants in Iraq and Syria seem to thrive on the mass murder of anybody on their way, from Shiites and Sunnis that don’t support them to minorities such as the beleaguered Yazidi community.
When it comes to savagery, however, Nigeria’s Boko Haram are making a case for themselves as the most barbaric terror group in recent history, attacking and laying waste to whole towns.
Al-Shabaab, too, with the Westgate killings, showed itself not too fussed about killing women, babies and the elderly something which was also on display in many of its suicide bombings in Mogadishu until a recent revision of tactics prompted by a collapse of public support in Somalia.
DIFFERENCE EVIDENT
The differences between Al-Qaeda and the Islamic State were evident in Paris. Amedy Coulibaly, who identified himself as a supporter of IS was happy to kill civilians while the two Kouachi brothers affiliated with Al-Qaeda operated more like assassins than standard terrorists.
At the offices of the provocative Charlie Hebdo magazine, they identified the cartoonists they sought to kill by name and spared the lives of other civilians including the young woman and her daughter who opened the door for them.
Even the hostages they took at the factory complex where they staged their last stand were dismissed with the words: “we don’t kill civilians,” something one would find difficult to imagine being uttered by an IS militant.
The key story of the last fortnight, however, is the ease with which the new generation of terror atrocities can be carried out in comparison to the complex plots of the bin Laden years.
British Prime Minister David Cameron has called “roving gun attacks,” where all attackers need are rifles, the greatest threat much of the world faces at the moment.
Although reports in the wake of the Paris attacks focused on Westgate as the place where this tactic was most prominently on display, the shooting rampage as terrorist tactic was previously applied in the Mumbai 2008 killings.
Although the attackers used a combination of bombings and shootings, the four-day siege was the forerunner to Westgate with its extensive use of gunmen on foot terrorising people in cafes and train stations.
This is a worrisome development for security forces across the world. In Kenya, counter-terror officials must have been quietly celebrating the problems Al-Shabaab is facing in Somalia.
A string of defections and the killing of top leaders depict an organisation marked by internal divisions and on the wane.
But the killings in other parts of the world highlights the fact that the threat remains high because the new wave makes it so easy for anyone to attack civilians. Kenyan anti-terror planners will do well to consider deploying enhanced foot patrols by armed and uniformed security personnel around key sites in the same manner as their counterparts in most of Europe to act as a deterrent.
Ultimately, the war across the world will be won through a battle of the minds involving rolling back the radicalising message that has poisoned so many young minds while addressing long-term problems such as the Israel-Palestine conflict.Source:  nation.co.ke

 

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Libya: ISIS claims bomb attack on Algerian embassy 

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Assailants lobbed explosives at Algeria´s embassy in the Libyan capital Saturday, wounding three people, a security official said, in an attack claimed by the Islamic State jihadist group.

The IS Libya branch said “soldiers of the caliphate” attacked the empty mission in a message posted on Twitter, together with a photograph of a tree-lined street with a fire in the background.

There was no independent confirmation of the claim — reported by the US-based monitoring group SITE Intelligence.

The IS posted a similar claim for a December 27 car bomb attack outside the building of a Libyan unit tasked with securing diplomatic missions that left no casualties, SITE reported at the time.

The security official, who works for the unit, said Saturday´s attack in central Tripoli seriously wounded a guard and that two passers-by were lightly hurt. Medical sources confirmed the toll.

The assailants threw “a bag full of explosives from a passing car at a police car parked near a guard post”, he said, adding that the attack caused damage to the building and parked cars.

But in the brief tweet, the IS said the blast was caused by an explosive device planted by its militants under the guard station.

Foreign Minister Ramtane Lamamra of neighbouring Algeria condemned the bombing. “Any attack on a diplomatic post is a crime under international law,” he said.

Saturday´s attack came a day after a coalition of militias declared a ceasefire, hours after an agreement at UN-brokered peace talks in Geneva between Libya´s warring factions.

The oil-rich nation has been wracked by conflict since dictator Moamer Kadhafi was toppled and killed in a 2011 uprising, with rival governments and powerful militias battling for control of key cities and the country´s oil riches.

The foreign ministry of Libya´s internationally-recognised government denounced Saturday´s bombing as a “cheap attempt to influence the national dialogue in Geneva” that are to continue next week.

Source:  thenews.com.pk

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ISIS in Afghanistan: a new nightmare for all Afghans

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One year ago, when the ISIS ( Islamic State in Iraq and Levant) emerged in parts of Iraq and Syria, not any single Afghan inside or outside Afghanistan would ever thought the cancer would soon effect Afghanistan.
The initial calculation was that ISLE is nothing more than an Iraqi internal problem that should be dealt by the Iraqis themselves.
But, all these imaginations were wrong. Whatsoever the ISLE was an Iraqi problem; it was a regional problem as well; the region in which Afghanistan is on the heart.
The growing influence and bench of sympathies to the powerful, newly-emerged extremist group separated all over the world. From very modernized European countries to some of the poorest parts of the world.
But, as it was getting closer to the boundaries of Afghanistan, the concerns were growing higher and higher.
It was not too late, when media outlets back in Kabul and other provinces said about ISLE flags raised in some parts of Pakistan, the eastern, closest and most engaged neighbor of Afghanistan.
And now, most of the security officials back in Afghanistan confirmed the presence of ISLE in over ten provinces of the country, from southern to northern.
Based on the latest statements of the Afghan security officials, the ISLE fighters along with their famous black flag located themselves in southern Helmand, Oruzgan, Zabul, Ghanzi, western Farah, northern Badakhshan, Kunduz and southeastern Kuner provinces.
The officials confirmed they are busy recruiting fighters, establishing training comps and trying hardly to attract more and more allies and sympathizers on over-mentioned regions of Afghanistan.
Many passengers in central-east Ghazni province complain of fully-covered with black clothing armed with developed weapons searching the cars and passengers.
Most of them according to the passengers are not speaking in none of the common local languages of Afghanistan and it’s believed all of them are foreigners.
 The presence of ISLE has been seriously taken serious by Afghan Medias. And the concerns of ordinary Afghans are increasing daily.
The Afghans have already watched the cruelty and brutality of ISLE back in Iraq and Syria throughout social and visionary Medias.
From the brutal and indiscriminate beheading, selling out Christian girls to destroying some of the holy religious of different religious ethnicity.
The Afghan people have the same fear and panic. Would the Iraqi scene may repeat in Afghanistan. Is a religious cleaning of minorities close?
And on the top of that, is the ANSF would be able to protect the people from any potential and possible actions of the ISLE forces in Afghanistan?
The later question would become more and more important equally along the ISLE’s increasing and growing influence.
Taken the issue in to account that the ISLE had tremendous military gains against the Iraqi military, which was once one of the well-trained, highly-mobilized and powerful forces in the whole Middle East.
Afghan security forces with no meaning could be compared to the Iraqi forces. ANSF is just a newly-established force. Without a proper, powerful and resolute air support. They still lack some of the most necessary heavy weapons.
While most of the NATO/ISAF forces have already left the country and left the forces without a powerful supportive combat forces.
With Afghan forces fighting back with Afghan Taliban and other ISI-linked militant groups in various parts of the country, if the ISLE engages with any possible combat with the forces, it would be very tough to reply, whether the forces are able to fight them back or not.
As we know so far, the ISLE is one of the fieriest, richest, heavily-armed, and well-trained terrorist groups in the whole region.
Source:  khaama
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Siria: una guerra senza fine? Profughi, ostaggi e foreign fighters a 4 anni dallo scoppio della crisi

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Chi sono i miliziani di Jabhat al-Nusra?
Come spiega Yezid Sayigh del Carnegie il “fronte al-Nusra è il gruppo più numericamente consistente ed efficace nel sud della Siria e ha dimostrato di essere capace di espandersi e consolidarsi” anche in altre zone del paese.
Negli anni precedenti, i miliziani legati a questa formazione hanno combattuto, insieme ad altre forze ribelli, contro il regime di Bashar al-Assad. L’ideologia del gruppo non è molto diversa da quella dei miliziani di Isis, ma i membri di al-Nusra non riconoscono l’autorità del sedicente Califfo al-Baghdadi e si sono perciò scontrati spesso con i jihadisti dello stato islamico.
I rapporti tra Isis e al-Nusra sembrano essere cambiati dopo l’invasione americana e c’è addirittura chi parla di un patto di non aggressione tra le due formazioni jihadiste.

Profughi: un problema senza soluzione?

Secondo le rilevazioni del Syria Regional Refugee Response, i profughi siriani sono più di 3,7 milioni, circa un quinto della popolazione censita nel 2011. La maggior parte di loro si trova in Turchia (1,6 milioni) ma la situazione è più critica è in Libano (dati consultabili qui). In questo piccolo paese, infatti, ci sono quasi 1,2 milioni di profughi siriani su circa 4,5 milioni di abitanti.
Come fa notare il New York Times, la gestione della crisi è talmente difficile che per la prima volta Beirut ha deciso di introdurre il visto per i cittadini siriani che vogliono entrare nel paese. Inoltre, mentre la Turchia ha avviato piani per l’inserimento dei profughi nel proprio sistema educativo e produttivo, il Libano e la Giordania hanno scelto di rendere sempre più difficile la permanenza di cittadini siriani entro i propri confini. Nei mesi scorsi l’esodo di profughi dalla Siria si è intensificato, come è possibile vedere in questa timeline.

Cosa vuol dire essere ostaggi in Siria?
Alcuni degli ostaggi liberati negli scorsi mesi hanno raccontato la loro terribile esperienza in Siria. Tra i racconti più commuoventi e significativi c’è quello di Theo Padnos, che è stato liberato a ottobre dopo essere stato prigioniero per due anni di Jabhat al-Nusra: lo stesso gruppo che ha rapito Vanessa Marzullo e Greta Ramelli.

Nelle mani di questa formazione jihadista potrebbe esserci anche l’unico ostaggio italiano in Siria: Padre Paolo Dall’Oglio. Il gesuita romano è stato sequestrato a fine luglio 2013 nel nord della Siria, e da allora non si hanno notizie certe sulla sua sorte. Tuttavia, poco dopo la liberazione delle due giovani studentesse, lo stesso account twitter che aveva dato la notizia (@sadeer1) ha diffuso un nuovo messaggio nel quale ha scritto che Padre Dall’Oglio è ancora vivo e si troverebbe nelle prigioni dello Stato islamico a Raqqa.

Chi sono i foreign fighters?
Uno dei temi più caldi in merito all’evolversi della crisi siriana riguarda il coinvolgimento dei combattenti stranieri. Secondo i dati dell’International Centre for the Study of Radicalisation and Political Violence (ICSR) il gruppo più numeroso di europei sarebbe di origine francese (700), seguito dagli inglese (400) e dai tedeschi (270). La maggior parte di questi combattenti ha meno di 40 anni e si stima che circa il 10-15% siano donne.

Source. ISPI

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