L’epsodio che demarca un cambiamento significativo delle dinamiche
del jihadismo in Italia avvenne il mattino del 12 ottobre 2009 presso
la caserma Santa Barbara, un’estesa struttura militare alla periferia
occidentale di Milano.
Alle 7.40, quando il cancello della porta carraia all’entrata principale della
caserma era aperto per favorire l’afflusso delle auto del personale di servizio,
un uomo cercò di varcare la soglia a piedi. Viste le guardie all’ingresso l’uomo
si chinò e fece esplodere una scatola nera che teneva sotto il braccio, urlando
qualcosa in una lingua (con ogni probabilità arabo) che nessuno comprese.
Le autorità stabilirono in seguito che l’esplosione dei 4,6 chili di una sostanza
esplosiva a base di triacetontriperossido (Tatp) che il soggetto trasportava si ridusse a
causa del cattivo stato di conservazione della sostanza e del basso potere
d’innesco del detonatore. L’esplosione comunque causò ferite serie agli
occhi dell’attentatore, che perse anche la mano destra. Due soldati invece
riportarono alcune lievi ferite.
La polizia arrivò sulla scena pochi istanti dopo l’esplosione.
Nonostante le ferite l’uomo riuscì a sussurrare al primo poliziotto che lo
soccorse: «Ve ne dovete andare via dall’Afghanistan». Mentre gli agenti
lo perquisivano aggiunse: «Non ho nient’altro… niente… mi chiamo
Game e sono della Libia». L’indagine che seguì rivelò che l’uomo si
chiamava Mohammed Game ed era, in effetti, un libico nato a Benghazi
nel 1974. Game era arrivato in Italia nel 2003, dopo aver studiato da
perito elettronico nel suo paese. Inizialmente la fortuna gli aveva arriso
e gestiva una fiorente impresa, le cui sorti mutarono dopo pochi anni.
Iniziò a fare lavori saltuari in nero e finì a vivere in una misera casa
occupata senza bagno, nella zona dello stadio San Siro, con un’italiana
che aveva sposato e i loro quattro figli.
Game non era conosciuto alle autorità dell’antiterrorismo italiane
e l’indagine rivelò che la sua radicalizzazione era avvenuta di recente.
Sua moglie e suo fratello Imad raccontarono agli inquirenti che Game
aveva avuto un attacco cardiaco nel 2008 e che da allora la sua vita
era cambiata completamente. Imad raccontò che Game aveva iniziato a
frequentare Viale Jenner e ad accusarlo di essere un infedele perché non
pregava e non digiunava durante il ramadan. Il nipote diciassettenne di
Game raccontò che suo zio passava le giornate su siti internet jihadisti
e che gli aveva recentemente confidato di voler compiere azioni suicide
in Italia contro un autobus o un McDonald’s, asserendo che «così si
guadagnava il paradiso».
La moglie di Game confermò queste storie e confidò agli inquirenti che
il marito era di recente diventato molto religioso e passava le proprie giornate
online, o con due nordafricani cheabitavano nel quartiere, anch’essi frequentatori
di viale Jenner.
Il profilo delineato dai familiari combaciava con quanto gli inquirenti
trovarono sul personal computer di Game. I tecnici informatici della
polizia scoprirono che Game era un avido consumatore di materiale
jihadista e che aveva salvato sul suo computer 788 file su questo tema.
Game inoltre aveva consultato materiale di varia natura, ma sembrava
che fosse rimasto particolarmente affascinato dagli scritti di Abu Musab
al-Suri, del quale scaricò 185 file. Al-Suri, uno dei più celebrati ideologi del
movimento jihadista globale, è particolarmente noto per aver elaborato
il concetto di resistenza senza leader e di jihad tramite terrorismo
individualizzato. Formulando un’idea che è stata adottata poi da altri
vari leader e gruppi del movimento jihadista globale, al-Suri propugnava
un sistema operativo in cui individui o piccoli gruppi isolati potessero
operare autonomamente senza stabilire contatti tra loro. Ciò che, secondo
al-Suri, avrebbe unito questi soggetti sarebbe stato semplicemente «un
obiettivo comune, un programma dottrinario condiviso e comprensivo
di (auto-)educazione». Gli scritti di al-Suri, la maggior parte dei quali
datati anni Novanta, sono visti come la teorizzazione della fase attuale
del jihadismo autoctono in Occidente.
L’analisi del computer mostrò anche che Game aveva un forte astio
per le politiche italiane in materia sia di Esteri sia di Interni. Varie
ricerche su internet e vari documenti scritti da Game mostravano
chiaramente l’opposizione del libico nei confronti della presenza italiana
in Afghanistan. Ma Game era anche fortemente interessato a questioni
interne, in particolare alle attività della Lega Nord e la sua opposizione
alla costruzione di moschee in Italia. Game era molto attento anche alla
storia del colonialismo italiano in Libia e alla relativa resistenza locale.
Per mesi Game passò le sue notti navigando su siti politici,
puramente religiosi e apertamente jihadisti. Tuttavia, anche se con il
tempo la tipologia di siti visitati era divenuta sempre più radicale, Game
non entrò in contatto con siti che fornissero istruzioni operative fino
a poche settimane prima di compiere l’attacco contro la caserma Santa
Barbara. L’evento che pare aver indirizzato Game e le sue ricerche su
internet in una direzione più operativa fu un incidente che avvenne il 20
settembre 2009 di fronte al Teatro Ciak a Milano. In quella data l’allora ex
parlamentare e critica dell’islam, Daniela Santanchè, aveva organizzato
una piccola manifestazione contro il trattamento inferto alle donne
musulmane. Come sede della protesta era stata scelta proprio la strada
di fronte al teatro, che in quei giorni era usato da alcune delle frange più
conservatrici della comunità islamica milanese per festeggiare la fine del
ramadan. Ne seguì una colluttazione nella quale l’ex parlamentare subì
lievi ferite. In seguito emersero foto che mostravano che Game era uno
dei soggetti che si era scagliato contro Santanchè.
L’episodio rappresentò la proverbiale goccia che fa traboccare il
vaso, accelerando drasticamente il processo di radicalizzazione del
libico. Da allora cominciò a dire a persone di cui si fidava che avrebbe
voluto compiere attentati in Italia, lodando al-Qaeda e dicendo che era
l’unica organizzazione che lavorava per il vero islam. Le sue ricerche su
internet, quindi, divennero sempre meno mirate a materiale teorico e
concentrate sul piano operativo. Cominciò a scaricare vari manuali sugli
esplosivi, inclusa la famosa Enciclopedia per la fabbricazione di esplosivi di
Abdallah Dhu al-Bajadin e le Lezioni per la distruzione del crocefisso. Cercò
anche informazioni su possibili obiettivi: l’allora primo ministro Silvio
Berlusconi e la sua famiglia, vari ministri del governo, la metropolitana
di Milano, lo stadio di San Siro e appunto la caserma Santa Barbara.
Fu inoltre allora che Game iniziò ad accumulare sostanze idonee alla
preparazione di esplosivi artigianali in un appartamento a pochi isolati da
quest’ultima e che apparteneva a Abdel Kol, un egiziano che Game aveva
preso a frequentare dopo essere diventato religioso. L’appartamento
divenne un vero e proprio laboratorio per la fabbricazione di ordigni e le
autorità vi trovarono decine di chili di varie sostanze chimiche e oggetti
utilizzati per tali scopi.
L’inchiesta portò all’arresto di Kol e del cittadino libico Mohamed
Israfel, anch’esso complice di Game. Al processo Game fu condannato
a 14 anni, Kol a 4 e Israfel a 3 e mezzo (poi ridotti a 3). Secondo gli
inquirenti, Game, Kol e Israfel costituivano una micro cellula che agiva
in totale autonomia operativa. Tutti e tre frequentavano viale Jenner, ma
non paiono esservi indizi che facciano pensare che fossero inseriti in
qualsiasi struttura organizzata operante presso il centro o nel milanese.
È discutibile se il caso Game possa essere considerato un episodio
di radicalizzazione autoctona. Se, da un lato, il suo processo di
radicalizzazione ebbe luogo a Milano, Game però era cresciuto in Libia e
si era trasferito in Italia solo da adulto – rendendo la sua caratterizzazione
come autoctono meno corrispondente ai criteri usati per definirne la
categoria. In ogni caso i vertici dell’antiterrorismo italiano videro
l’episodio come uno spartiacque e, possibilmente, come la punta
dell’iceberg di un fenomeno più diffuso. Nella Relazione al parlamento
del 2009 la comunità d’intelligence indicava nel caso la conferma di
un fenomeno che si era temuto da anni, cioè l’«improvvisa attivazione
operativa di soggetti presenti sul territorio nazionale che, al di fuori di
formazioni terroristiche strutturate, elaborino in proprio progetti ostili,
aderendo al richiamo del jihad globale». Il rapporto segnalava anche
il pericolo posto da «immigrati di seconda generazione ovvero soggetti nati
e cresciuti in Occidente i quali, resi vulnerabili da situazioni di disagio
economico-sociale o emotivo, aderiscono all’opzione violenta in esito a
un percorso di radicalizzazione favorito dalla propaganda on line e dal
condizionamento di correligionari attestati su posizioni estremiste».
Anche se non nella forma più pura, il caso Game fu indubbiamente la
prima forte indicazione dell’arrivo del jihadismo autoctono in Italia.