In Italia internet in qualche modo compensa la mancanza di una scena
jihadista autoctona. Snobbati dalla ridotta e sospettosa
scena jihadista tradizionale, i nuovi militanti “italiani” devono ricorrere al web
per trovare materiale che li guidi nel loro cammino e per interagire con
altri soggetti dalle idee simili: due bisogni normali per quei soggetti che
adottano qualsiasi ideologia radicale. Tuttavia, com’è normale, la maggior
parte degli attivisti autoctoni italiani non si accontenta d’interazioni su
internet e le ricerca anche nel mondo reale.
Un luogo dove questi soggetti occasionalmente interagiscono è la
piccola comunità salafita autoctona che si è sviluppata di recente in
Italia. Negli ultimi anni, infatti, alcuni convertiti e “italiani sociologici”
hanno formato una scena informale che abbraccia varie correnti del
salafismo. Alcuni di questi sono attivisti autodidatti, altri hanno ottenuto
o stanno completando lauree e diplomi in varie discipline del sapere
islamico presso prestigiose università straniere, incluso un piccolo
contingente di convertiti italiani che studia all’università di Medina in
Arabia Saudita. Salvo limitate eccezioni, questi soggetti non controllano
moschee e operano con mezzi limitati. Tuttavia, sono molto attivi
online e organizzano eventi a cui presenziano importanti speaker salafiti
stranieri. Questo panorama italiano, spesso diviso da dissapori personali
e teologici, è in crescita, ma è significativamente più piccolo rispetto a
quello di paesi come la Gran Bretagna, i Paesi Bassi e la Germania.
Dalla loro approvazione per la lapidazione, la poligamia e la pena di
morte per apostasia (posizioni che, sia chiaro, non sono adottate con le
stesse modalità da tutti i membri di tale contesto) al loro incoraggiamento
per il jihad violento in terre dove pensano che i musulmani siano sotto
attacco, le posizioni dei leader della comunità salafita autoctona italiana
sono senz’ombra di dubbio controverse e spesso ripugnanti per la
maggior parte degli italiani. Tuttavia questo scenario non va confuso
con quello jihadista fin qui analizzato. I suoi membri generalmente
disapprovano gli atti di violenza contro l’Italia e alcuni di loro li hanno
apertamente condannati. Confonderlo o automaticamente identificarlo
con il jihadismo adottato da Jarmoune, el-Abboubi e Delnevo vorrebbe
dire commettere un serio errore analitico.
Comunque punti di contatto esistono, come uno dei leader di
questa scena informale, Usama el-Santawy, ammette. Intelligente
e con ottime conoscenze, el-Santawy è un ventottenne nato a Milano
e può essere considerato come uno dei più noti attivisti islamici della
seconda generazione. Proveniente da una famiglia che all’epoca non era
particolarmente religiosa, a 19 anni cominciò un percorso di scoperta
della sua religione che iniziò, come egli stesso racconta, con il salafismo.
Tuttavia el-Santawy non si definisce un salafita puro. Dice di ammirare
anche i Fratelli musulmani per quanto riguarda la metodologia di azione
politica e la dawa della Tablighi Jamaat. Al di là di queste differenze
di definizione, si può dire che el-Santawy sia al centro della nascente
scena salafita autoctona in Italia. Lavorando anche al quartier generale
milanese dell’organizzazione internazionale di beneficenza Islamic Relief,
el-Santawy ha ottenuto un proprio show sull’islam su una televisione
locale di Brescia e viaggia spesso in Italia e all’estero come conferenziere.
Nonostante non possegga un’istruzione formale in studi islamici, el-
Santawy è riuscito, forse anche grazie alle sue eccellenti doti oratorie
(in italiano e in arabo) e alla sua personalità, a divenire un punto di
riferimento per i salafiti italiani di seconda generazione. All’interno
di questa scena esistono soggetti che flirtano con o sposano del tutto
l’ideologia jihadista e in questo caso hanno interagito con el-Santawy. Il
fatto non dovrebbe sorprendere, viste le piccole dimensioni di tale scena.
El-Santawy, infatti, interagì, sia online che di persona, con Delnevo, el-
Abboubi e alcuni degli indagati dell’Operazione Niriya.
Alcuni dei post su internet di el-Santawy, in particolar modo quelli di
qualche anno addietro, sono stati accusati di essere non solo estremisti,
ma d’incitare direttamente la violenza contro vari critici dell’islam.
Queste accuse sono discutibili, ma non c’è dubbio che il linguaggio di
el-Santawy sia molto controverso e a volte volutamente provocatorio.
Tuttavia non ci sono indicazioni che el-Santawy abbia mai partecipato
ad alcuna attività terrorista o che le abbia incoraggiate o ne sia venuto a
conoscenza. Al contrario, el-Santawy asserisce di aver più volte redarguito
el-Abboubi per i suoi toni radicali. In un’intervista per questo studio
ha inequivocabilmente condannato le posizioni espresse da el-Abboubi
e Jarmoune, in particolar modo la presunta intenzione del secondo di
compiere un attentato contro la comunità ebraica milanese. Al tempo
stesso, el-Santawy, fedele alla propria interpretazione del conflitto
siriano come un jihad legittimo, ha pubblicamente lodato Delnevo (con
il quale ha avuto diversi incontri). «Noi lo vediamo come uno shahid,
un martire, che combatte sinceramente per la causa», ha dichiarato el-
Santawy in un’intervista a Linkiesta.it. «È morto in una terra che Dio ha
benedetto, chi muore lì non muore».
Non c’è dubbio che la scena autoctona salafita principale di cui
el-Santawy è uno dei maggiori esponenti non sia coinvolta in alcuna
attività violenta in Italia. I suoi attivisti tengono discorsi in piccole sale
di preghiera e organizzano eventi in giro per l’Italia, fanno street dawa,
pubblicano libri e sono estremamente attivi online. Alcuni di loro sono
presenti nel dialogo inter-religioso e con autorità e società civile a livello
locale. Ma è al tempo stesso palese che alcuni individui coinvolti in
attività jihadiste si muovono anche in questo contesto dove trovano idee
che, sebbene non identiche, hanno molte similitudini.
Al di là della carenza di contatti con la scena jihadista tradizionale,
la quasi disperata ricerca di direzione degli aspiranti jihadisti autoctoni
è determinata anche dalla presenza molto ridotta in Italia di molte
delle organizzazioni che caratterizzano il panorama salafita/jihadista
in altri paesi europei. Un gruppo come Hizb-ut-Tahrir, il movimento
transnazionale che propugna la ristrutturazione del Califfato come unica
soluzione ai problemi della ummah e che possiede una forte presenza in
vari paesi europei, è attivo solo in piccola misura in Italia. Allo stesso
modo, le più recenti emanazioni dirette o indirette di Hizb-ut-Tahrir
– gruppi estremisti quali Sharia4Belgium, Forsane Alizza in Francia o
Millatu Ibrahim in Germania, che operano tra la legalità e l’illegalità
– non esistono in Italia. Il tentativo di el-Abboubi di costituire il ramo
italiano del franchise Sharia4, attraendo solo un paio di amici, dimostra
la mancanza di attrattività di tali iniziative tra i musulmani italiani,
almeno per il momento.
Occasionalmente predicatori salafiti stranieri, con più o meno
spiccate tendenze jihadiste, giungono in Italia per parlare in moschee
o in piccoli raduni. Bilal Bosnic, per esempio, uno dei più noti elementi
delle frange più estremiste del salafismo bosniaco, è venuto in Italia in
varie circostanze.
Bosnic è stato arrestato nei giorni scorsi in un’operazione condotta dalla
polizia di Cremona e Bergamo (l’uomo è accusato di aver mandato
combattenti in Iraq e Siria).
Queste visite sono attentamente monitorate dalle
autorità italiane, che cercano di prevenirle fermando i predicatori al
confine quando possibile. In alcuni casi sono gli attivisti italiani a
viaggiare all’estero, frequentando seminari, come nel caso di Delnevo, il
cui contenuto è spesso puramente religioso ma che può anche essere più
militante o cercando, come nel caso di el-Abboubi, di stabilire contatti
con militanti di scene europee più sviluppate.