Come scrive Mark Thompson sul Time, il piano Obama è articolato in quattro punti.
Il primo riguarda una «campagna prolungata e senza sosta» di bombardamenti aerei che avranno l’obiettivo di sostenere l’azione delle truppe che combattono gli jihadisti sul campo: iracheni, curdi e i ribelli siriani moderati che riceveranno gli aiuti militari.
In secondo luogo, sarà incrementato «il nostro sostegno a quelle forze che stanno già combattendo i terroristi sul terreno».
A tale scopo, Obama ha annunciato che invierà 475 soldati in aggiunta alle 1600 unità già presenti sul territorio, senza compiti di combattimento ma con funzioni di training e intelligence.
Il terzo e quarto punto della strategia Obama riguarderà infine le attività di counterterrorism e l’assistenza umanitaria alle popolazioni colpite. Al fine di tagliare i finanziamenti ai jihadisti, di bloccare il flusso di combattenti stranieri in Iraq e in Siria e assicurare aiuti umanitari alle popolazioni più minacciate, – riporta Politico – Washington collaborerà con i partner della coalizione internazionale per un più efficace coordinamento dei servizi di sicurezza e un rafforzamento della sorveglianza delle frontiere.
What’s the next step?
In una realtà fluida com’è quella siro-irachena non è ancora chiaro se ai raid seguiranno un’operazione terrestre Usa o se, più verosimilmente, un’azione di guerriglia portata avanti dai peshmerga curdi. Questa rimane ancora la fase più nebulosa della strategia Obama. Ad ogni modo, come ha affermato il capo di stato maggiore Martin Dempsey durante un’audizione al Senato, se gli attacchi aerei non dovessero fermare l’avanzata islamista, gli Stati Uniti potrebbero inviare truppe di terra in Iraq e in Siria. La Casa Bianca si è comunque affrettata a precisare che si tratta solo di uno scenario ipotetico.