All’Assemblea delle Nazioni Unite tenutasi a New York nei giorni scorsi, gran parte dell’attenzione negli interventi dei capi di governo che si sono alternati sul palco è stata dedicata alla minaccia jihadista e all’intervento internazionale contro lo Stato Islamico (IS).
Ma lo stato islamico non costituisce l’unica minaccia presente nell’area. In Libia, negli ultimi mesi, gran parte del territorio della Cirenaica, l’est del paese, è caduto sotto il controllo di formazioni dichiaratamente jihadiste, in particolare di Ansar al-Sharia.
Parte della comunità internazionale si sta chiedendo quindi se l’intervento contro IS non possa costituire un precedente per intervenire militarmente in Libia.
Il paese vive ormai una situazione di anarchia: fazioni di varia astrazione controllano il territorio; le milizie di Misurata, legate alla Fratellanza musulmana, e quelle di Zintan, vicine al partito più secolarista di Mahmud Jibril, continuano a fronteggiarsi in Tripolitania; un generale rinnegato Khalifa Haftar cerca di riprendere il controllo dell’area di Bengasi; il nuovo parlamento eletto nelle ultime elezioni di giugno, e riconosciuto come legittimo dalla comunità internazionale, si è rifugiato a Tobruk, quasi sotto protezione egiziana, mentre le forze islamiste hanno riconvocato il vecchio parlamento a Tripoli, minacciando il pieno controllo della Banca centrale e dei ministeri.
Si sta creando un consenso politico internazionale sulla Libia?