Emersi nel 2006 dopo la sconfitta dell’Unione delle Corti Islamiche da parte del Governo Federale di Transizione, gli al-Shabaab, “i Giovani”, rappresentano il gruppo islamico più potente e attivo in Somalia. Dal 2012 sono formalmente riconosciuti come cellula locale di al-Qaeda e sono inseriti nella lista delle organizzazioni terroristiche di numerosi governi e servizi di sicurezza occidentali.
L’ultimo attentato attribuito al gruppo è quello della scorsa notte nel nord del Kenya, in cui sono rimaste uccise 36 persone. Uomini armati hanno attaccato una cava nella contea di Mandera. Gli operai musulmani sono stati risparmiati, ma gli altri sono stati uccisi con un colpo alla testa o decapitati.
Nella stessa area di Mandera, lo scorso 22 novembre, militanti del gruppo al-Shabaab provenienti dalla Somalia hanno sequestrato un autobus e ucciso 28 persone, tutti i passeggeri che non erano in grado di leggere versetti del Corano. Le forze di sicurezza keniote hanno inseguito gli aggressori oltre confine, uccidendo più di 100 militanti del gruppo islamista.
Tra gli obiettivi del gruppo, quello di instaurare nel Paese la Sharia, la legge islamica, nella rigida applicazione wahhabita. Espulso da Mogadiscio nell’agosto 2011 e dal porto di Kismayo nel settembre 2012, il movimento islamico controlla ancora gran parte delle zone rurali nel sud del Paese, dove le donne accusate di adulterio vengono lapidate e ai ladri sono amputate le mani.
La sua forza è stimata in settemila-novemila uomini, con un netto calo rispetto ai 14.426 guerriglieri stimati nel maggio del 2011. Il calo di miliziani è dovuto sia a screzi interni tra leader somali e la leadership centrale di al-Qaeda, sia all’azione del governo di transizione che dal 2012, grazie al sostegno della comunità internazionale, è riuscito ad agire con forza contro gli estremisti islamici.
Gli Usa temono che combattenti di al-Qaeda ritiratisi dall’Afghanistan e dal Pakistan dopo l’uccisione di Osama Bin Laden si siano ora trasferiti in Somalia. Rispetto allo Stato islamico (Is), sigla emergente del terrorismo islamico, numerose fonti parlano di attività di reclutamento tra le file degli Shabaab, condotte dal gruppo attivo in Siria e in Iraq.
Oltre all’applicazione della sharia, un altro obiettivo chiave della missione degli al-Shabaab è l’espulsione dalla Somalia dei soldati stranieri, in primis quelli etiopi e kenioti. Ed è proprio contro il Kenya, responsabile di aver mandato propri militari a combattere il gruppo in Somalia, che si sono scatenate le peggiori azioni all’estero dei miliziani somali, compreso l’attentato del 1996 contro l’ambasciata Usa a Nairobi e nel 2002 contro obiettivi israeliani attorno a Mombasa.
Nel 2011, gli al-Shabaab hanno invece condotto vari attacchi e rapimenti al confine con il Kenya, mentre il più sanguinoso resta l’assalto al centro commerciale Westgate a Nairobi nel settembre del 2013 costato la vita a 68 persone.
Dopo mesi di indagini condotte sul terreno con l’aiuto delle più sofisticate tecnologie per l’intercettazione delle telecomunicazioni, ma anche e soprattutto lavorando sul piano della humint nella ricerca di fonti attendibili, il 1° settembre l’intelligence americana ha definitivamente individuato la posizione di Ahmed Abdi Godane, il leader della milizia islamista somala al-Shabaab, che è stato bersaglio di un rapido e letale attacco aereo.
L’azione si è svolta in un piccolo villaggio del Basso Shabelle, dove le milizie hanno spostato le proprie roccaforti all’indomani delle sconfitte a Mogadiscio e a Kismayo. Buona parte del vertice operativo di al-Shabaab era stato segnalato infatti in movimento per raggiungere una località remota, dove presumibilmente si sarebbe svolta una riunione. Una volta confermata la presenza di un assembramento in un’abitazione alla periferia del piccolo centro di Sablaale, nella zona di Dhay Tubaako a circa 200 km a sud della capitale, è stata data l’autorizzazione per condurre un attacco aereo impiegando mezzi pilotati e alcuni droni armati di missile Hellfire e bombe a guida laser. Due esplosioni hanno colpito prima un’abitazione e poi un convoglio di tre auto, che si accingeva a fuggire dopo il primo attacco dei droni.
Sebbene il margine di certezza circa la presenza nel gruppo di Godane fosse alto, così come la successiva certezza della sua morte in seguito all’azione, sono stati necessari alcuni giorni per poter confermare ufficialmente il risultato dell’operazione. L’annuncio della morte di Godane è stato dato il 6 settembre dallo stesso portavoce di al Shabaab, Abdulaziz Abu Musab, il quale ha confermato il decesso di altri due esponenti del vertice – di cui non ha fatto il nome – e ha ufficializzato la nomina di Ahmed Umar Abu Ubaida quale successore al vertice dell’organizzazione.
Cosa è cambiatio con la morte di Godane?
Il portavoce di al-Shabaab ha promesso una grande vendetta mentre dava la notizia della nomina al vertice di Sheik Ahmad Umar Abu Ubaidah, di cui si conosce poco se non l’appartenenza al clan Dir e l’adesione ad al-Shabaab nel 2006.
Con la nomina del nuovo vertice è stata anche ribadita la fedeltà alla rete di al Qaida, nell’ambito di quella che sembra – almeno al momento – una linea di continuità. Poco potrà cambiare tuttavia nella capacità operativa, alla luce di una pluralità di fattori che al contrario potrebbe portare a un ulteriore indebolimento dell’intera struttura.
Sotto la costante pressione sia dell’Amisom sia delle Forze armate somale, con lo spettro di nuove e sempre più mirate azioni militari da parte degli Stati Uniti, accerchiato nell’area di Barawe, e con crescenti difficoltà a reperire le risorse economiche necessarie a pagare le proprie milizie e garantirne la continuità operativa, al-Shabaab potrebbe andare incontro a un periodo di crescente crisi. Non è da escludere un’ulteriore ondata di defezioni, così come la necessità di individuare nuove e più remote aree per assicurare la difesa delle proprie forze.
C’è infine da considerare “l’effetto Isis” sulla nuova leadership di al-Shabaab. Godane è stato patrocinatore di una visione internazionalista e regionale dell’organizzazione, senza tuttavia mai riuscire a conseguire questo obiettivo. Per imporre questa linea ha dato avvio a una cruenta fase di scontro al vertice della milizia, uscendone vincitore dopo aver fatto assassinare i propri rivali o averli costretti alla fuga. Il fallimento del piano di Godane è attribuibile in parte ai limiti stessi dell’organizzazione e in parte all’inefficacia del sodalizio con al Qaida, che non ha portato alcun risultato concreto.
Non è quindi da escludere che alcuni miliziani possano oggi guardare con maggiore interesse all’Isis e al suo sedicente califfo, al Baghdadi, che gode certamente in questo momento tra i jihadisti di una più solida reputazione rispetto a quella del suo contendente Mullah Omar, in seno alle compagine qaidista. Se questo dovesse accadere, è probabile che una nuova faida possa dividere nuovamente il vertice di al-Shabaab in due gruppi antagonisti.Ciò comporterebbe un’ulteriore radicalizzazione delle azioni contro la popolazione e le forze militari.
La morte di Godane non è quindi la morte di al-Shabaab, anche se indubbiamente il colpo inferto è stato violento e non privo di conseguenze.