L’avanzata militare degli Houthi verso la capitale Sana‘a ha dato una forte accelerata alla crisi yemenita, provocando la caduta del secondo governo in quattro anni – con la destituzione e l’arresto del presidente Hadi e del suo esecutivo da parte dei ribelli – e privando Barack Obama di un prezioso alleato nella lotta al terrorismo qaidista.
Schiacciato tra più piani paralleli di instabilità – richieste indipendentiste a sud, rivolta Houthi, rivendicazioni clanico-tribali sunnite, in parte appoggiate dall’Arabia Saudita, e il jihadismo legato ad al-Qaida nella Penisola arabica – anche lo Yemen è precipitato nel vortice delle crescenti tensioni inter-settarie ed è oggi sull’orlo di un nuovo conflitto civile che renderebbe il paese un failed state nel cuore del Golfo.
Il frazionamento politico e settario che vive oggi lo Yemen pone rischia di far precipitare il paese in un nuovo conflitto civile. I diversi piani di instabilità paralleli (richieste indipendentiste a sud, rivolta Houthi, rivendicazioni clanico-tribali sunnite, in parte appoggiate dall’Arabia Saudita, e il jihadismo legato ad al-Qaida nella Penisola arabica) pongono seri dubbi riguardo alla sua evoluzione nel breve e nel medio termine. Sulla base delle attuali contingenze sul campo, si possono elaborare due possibili scenari sul prossimo futuro del paese.
Scanario A: Una mediazione possibile – nel primo caso, potrebbe prevalere la spinta al dialogo tra le fazioni più moderate che si oppongono agli Houthi, in linea con la scadenza di tre giorni fissata dagli stessi Houthi ai partiti per formare una coalizione di governo. Fin dalla fine del 2014, il partito al-Islah, affiliato ai Fratelli musulmani e principale oppositore politico del movimento armato sciita, ha cercato una mediazione politica con esso.
Come già è avvenuto a fine novembre scorso, i vertici di al-Islah potrebbero dunque trovare un accordo con gli Houthi per uscire dall’impasse nel quale è precipitato il partito sunnita, schiacciato militarmente tra i combattenti sciiti e l’ex presidente Saleh sempre più schierato con essi da un lato, e una scomoda alleanza forzosa con Ansar al-Sharia, la sezione yemenita al-Qaida nella penisola arabica (Aqap), dall’altro. In questo caso andrebbe ricostituendosi una base di consenso – se non di parziale unità – nazionale, dalla quale le forze yemenite, sciite e sunnite, potrebbero ripartire per appianare le divergenze interne e fare fronte comune contro il terrorismo jihadista – scenario questo sicuramente apprezzato dagli Usa, ma che potrebbe suscitare alcune perplessità in Arabia Saudita, decisamente contraria ad un coinvolgimento politico dei gruppo filo-islamisti.
Scenario B: Verso il conflitto – Qualora invece non venisse raggiunto alcun accordo intra-settario tra i partiti, potrebbe verificarsi quella ‘protezione dello stato’ già prospettata dalla ‘leadership rivoluzionaria’ degli Houthi. Uno sviluppo di questo tipo potrebbe tradursi in due ulteriori possibili scenari per il paese. Nel primo caso – che parrebbe il più probabile – la presa effettiva del potere da parte del movimento armato zaydita farebbe precipitare il paese nel caos: le numerose proteste sunnite anti-Houthi, finora pacifiche, si trasformerebbero probabilmente in aperta guerriglia contro il gruppo zaydita.
Al contempo, un simile scenario farebbe indubbiamente il gioco di Ansar al-Sharia, vista l’ulteriore radicalizzazione sunnita che un gesto unilaterale di questo tipo provocherebbe. Alternativamente, grazie alla superiorità sul campo degli Houthi e alle divisioni interne ai suoi oppositori, anche a fronte di un colpo di mano del movimento armato sciita la situazione yemenita potrebbe cristallizzarsi in una situazione di ‘stabile instabilità, ovvero in un protratto conflitto a bassa intensità. Quest’ultima ipotesi tuttavia nel lungo periodo non gioverebbe alla stabilità regionale, e in ogni caso aiuterebbe quella radicalizzazione in cui sperano i jihadisti.
Molto dipenderà in ogni caso dall’eventuale riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran sul dossier Yemen. Così come in ciascuna delle instabili realtà regionali, nel lungo periodo la mancanza di dialogo e l’aperta opposizione tra queste due potenze di area minerebbe alla base qualsiasi processo di risoluzione della crisi yemenita.
Source. ISPI