Il video diffuso dall’IS della barbara esecuzione del pilota giordano Muath Kasasbeh, ostaggio dei jihadisti dal 24 dicembre, ha riportato di stretta attualità il dibattito sulla strategia comunicativa dei miliziani dello Stato Islamico rilanciando anche la discussione sulle loro capacità di utilizzo delle nuove tecnologie e il ruolo che stanno avendo i media tradizionali.
Di fronte alla decisione di pubblicare o meno il video, alcune redazioni hanno optato per la prima mentre la grande maggioranza si è limitata all’inserimento di brevi frammenti o fermi immagine.
IS sembra perseguire i propri obiettivi secondo una strategia lineare di comunicazione: esercita violenza e comunica con una pluralità di media, diversificando i messaggi.
La vera novità di IS è che per la prima volta ci troviamo di fronte a una regia competente nell’uso dei diversi strumenti mediali, non solo delle tecniche, nel quadro di una più complessa regia politica e militare di consolidamento dell’islam radicale e jihadista all’interno di un territorio geografico.
Il video dell’uccisione del pilota giordano può apparire il tentativo di ristabilire la propria immagine vincente e violenta dopo la rilevante sconfitta che lo Stato Islamico ha subito a Kobane, trasformata negli scorsi mesi in un luogo simbolico della propaganda jihadista. Paolo Maggiolini e Matteo Colombo, partendo da questi eventi, analizzano in un commentary la reazione della comunità internazionale e della Giordania alla nuova sfida dello Stato Islamico.
Fox News, unico broadcaster americano che ha deciso di trasmettere la versione integrale del video, difende la sua scelta spiegando che si è voluto dar testimonianza del livello di violenza e barbarie dei miliziani dell’ISIS.
Secondo i sostenitori del sì, la decisione di molte testate di fare una scelta opposta appellandosi a una certa “sensibilità giornalistica” non ha fatto aumentare la consapevolezza del fenomeno Stato islamico né tantomeno delle sue vittime in quanto può non bastare raccontarlo a parole.
Infine, questa scelta è spesso giustificata facendo riferimento al fatto che il video è comunque disponibile sulla rete e un’eccessiva scrupolosità dei media tradizionali potrebbe spingere l’audience verso terreni informativi ben meno affidabili.
Malcolm Nance, direttore del TAPSTRI ed esperto di antiterrorismo, spiega su The Guardian che queste organizzazioni terroristiche hanno bisogno di una piattaforma per propagandare il loro messaggio e la pubblicazione di questi materiali fa esattamente il loro gioco.
Secondo Nance, la divulgazione del video potrebbe anche mettere a repentaglio la vita degli altri ostaggi in quanto l’eco mediatica delle loro esecuzioni potrebbe essere addirittura più utile che il riscatto pagato per la loro liberazione.
Infine, come consiglia Andreas Whittam Smith su The Independent, in questa decisione bisogna tenere in considerazione anche la necessità di non offendere la sensibilità del pubblico e bisogna evitare che i media possano rendersi, involontariamente, complici della propaganda di queste organizzazioni terroristiche.
Source:ISPI