Dagli attentati dell’11 settembre 2001 le autorità della maggior parte
dei paesi europei dichiarano costantemente che, sebbene forme di
violenza politica motivate da altre ideologie siano presenti in tutto il
continente, il cosiddetto terrorismo jihadista costituisce la minaccia più
pericolosa.
Nonostante l’ultimo attacco di notevole portata sia avvenuto
nel 2005 (gli attentati di Londra), ogni anno le autorità dei vari paesi
dell’Unione Europea arrestano in media circa 200 militanti e sventano
una mezza dozzina di attentati riconducibili all’ideologia jihadista. In
alcuni casi, come a Francoforte nel 2011, Tolosa nel 2012 e Londra
nel 2013, gli attacchi di piccola entità sono stati eseguiti da individui
palesemente ispirati dal jihadismo, ma operanti autonomamente.
La natura del jihadismo in Europa è mutata notevolmente nel
tempo. Mentre i primi network jihadisti operativi nei primi anni
Novanta erano composti prevalentemente da immigrati di prima
generazione, legati direttamente a organizzazioni extraeuropee, oggi la
maggioranza dei militanti è autoctona (homegrown); immigrati di seconda
o terza generazione, cui si aggiunge un numero ridotto di convertiti.
Indipendentemente dal fatto che agiscano autonomamente, o che
abbiano stabilito i propri contatti operativi con gruppi appartenenti alla
galassia di al-Qaeda fuori dal continente europeo, oggi i jihadisti europei
sposano il credo della “guerra santa” in maniera autonoma.
Si tratta di una preoccupante evoluzione sociale, che solleva numerosi interrogativi
politici, come sul piano della sicurezza.
La cosiddetta radicalizzazione jihadista autoctona (homegrown jihadist
radicalization) è un fenomeno che molti paesi dell’Europa centrale e del
nord conoscono già dai primi anni Duemila. Recentemente le autorità italiane
hanno cominciato a registrare casi di questo tipo anche sul
nostro territorio. Questo ritardo è attribuibile a un semplice fattore
demografico. In Italia, infatti, solo a fine anni Ottanta, inizio Novanta,
si comincia a vedere un importante flusso migratorio su larga scala dai
paesi a maggioranza islamica: un “ritardo” di venti-quarant’anni rispetto
ai partner europei più avanzati, quali Francia, Germania, Paesi Bassi
e Gran Bretagna.
I musulmani di seconda generazione, quelli nati o
cresciuti in Italia, sono entrati nell’età adulta quindi da poco. Rispetto
al numero di figli di immigrati musulmani cresciuti nel nostro paese
(centinaia di migliaia) e quello dei convertiti (migliaia), chi adotta
l’ideologia fondamentalista rappresenta un numero, poche centinaia,
statisticamente insignificante, tuttavia rilevante per la sicurezza.
Recenti operazioni anti-terrorismo hanno evidenziato queste
dinamiche.
Nel marzo 2012 la Digos di Brescia ha arrestato Mohamed
Jarmoune: ventenne di origini marocchine, cresciuto nel bresciano
e sospettato di pianificare un attacco contro la comunità ebraica di
Milano. Date le sue caratteristiche – cresciuto e radicalizzato in Italia,
molto attivo su internet e non legato a strutture organizzate – Jarmoune
può essere considerato il primo caso di jihadista autoctono italiano.
Inoltre un’inchiesta portata a termine simultaneamente a quella su
Jarmoune ha rivelato l’esistenza di un network di simpatizzanti del jihad
– la maggior parte convertiti, sparsi sul territorio nazionale – impegnati
nella traduzione e divulgazione di testi estremisti e manuali operativi su
vari blog, forum e social network.
Nel giugno del 2013 le autorità hanno arrestato un altro giovane di
origini marocchine, Anas el Abboubi. Anch’egli, come Jarmoune, era
cresciuto nel bresciano. El Abboubi, che gestiva alcuni siti estremisti e
aveva molteplici profili su vari social network, fu accusato di disseminare
materiale jihadista e sospettato di aver pianificato un attentato a Brescia.
Rilasciato per ordine del tribunale del riesame di Brescia dopo poche
settimane, el Abboubi raggiunse la Siria, dove ora pare si sia unito al
gruppo legato ad al Qaeda Stato islamico dell’Iraq e del Levante. Solo
una settimana dopo il suo arresto si è diffusa la notizia della morte di
Ibrahim Giuliano Delnevo: genovese, convertito all’islam, ucciso in Siria
mentre combatteva nelle fila di una milizia islamista contro il regime
siriano.
Questi casi rappresentano le manifestazioni più evidenti di un
fenomeno di cui le autorità italiane dell’antiterrorismo sono sempre più
consapevoli e preoccupate. Al fianco dei network jihadisti “tradizionali”,
ancora attivi in Italia, è chiaro che sono presenti sia attori indipendenti (i
cosiddetti lone actor), sia piccoli nuclei di soggetti che sono cresciuti in Italia,
che si sono radicalizzati autonomamente, operando indipendentemente
da moschee e altri gruppi strutturati, e che dimostrano una forte presenza
sul web. In ogni caso, si sta parlando di un fenomeno dalle dimensioni
ancora ridotte rispetto ad altri paesi dell’Europa occidentale.
Le conseguenze dell’arrivo del jihadismo autoctono in Italia sono di
duplice portata. La prima è operativa. Nuclei autoctoni o, ancor più,
lone actor sono spesso di difficile identificazione in quanto non inseriti in
una struttura le cui comunicazioni e attività possono essere monitorate
facilmente dalle autorità. Il fenomeno pone dei limiti anche al frequente
uso di espulsioni, uno dei mezzi preferiti delle autorità italiane
antiterrorismo. A causa della nostra rigorosa legislazione in materia è
possibile che alcuni jihadisti autoctoni, nonostante siano nati in Italia,
non abbiano la cittadinanza italiana e siano perciò passibili di espulsione.
Ma altri, a partire dai convertiti, sono cittadini italiani a pieno diritto e
perciò non sanzionabili con l’espulsione.
La seconda conseguenza va vista rispetto al livello socio-politico ed
è probabilmente ancora più preoccupante. Replicando una dinamica
apparsa in più occasioni in numerosi paesi europei, l’eventualità che
un musulmano cresciuto in Italia possa compiere un attacco sul suolo
nazionale genererebbe un dibattito di grandissime proporzioni su
questioni quali l’immigrazione e la presenza dei musulmani in Italia.
Temi, questi, già molto politicizzati e fonti di accese tensioni.
Questo studio vuole effettuare un’analisi critica del jihadismo in
Italia. Per farlo ha concentrato la propria attenzione sull’evoluzione
del fenomeno dagli albori ai casi più recenti, sviscerando le singole
dinamiche e comparandole a quelle viste in altri paesi europei. Lo studio